Generale Giuseppe Morabito – Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation. Ben più di un anno dopo che ai talebani è stato lasciato il potere a Kabul, gli afgani devono affrontare un futuro sempre più triste.
Dopo due decenni (il tempo di quattro Guerre Mondiali!) di intervento guidato dagli Stati Uniti e da tutta la NATO, enormi investimenti internazionali e sforzi per costruire uno stato democratico, garantire i diritti umani fondamentali, sviluppare l’economia afghana e ridurre la povertà, l’Afghanistan sta affrontando una crisi su più fronti.
Sebbene le perdite civili siano ridotte, le sanzioni internazionali hanno aggravato la crisi economica e umanitaria, lasciando circa il 90% delle famiglie nell’incapacità di assicurarsi cibo a sufficienza .
Oltre a pratiche massicciamente repressive nei confronti, in particolare delle donne, i talebani hanno fatto di tutto (anche fuori dell’immaginazione del lecito) per gestire le tensioni interne, mettere in moto il loro governo, combattere le minacce armate interne ma non hanno ottenuto l’accettazione e il riconoscimento internazionale.
Il citato riconoscimento internazionale del regime talebano è una prospettiva lontana. I paesi democratici occidentali e quelli confinanti purtroppo differiscono nel modo in cui interagiscono con i talebani e ciò provocherebbe, per gli analisti, la mancata riduzione dell’influenza esterna sulle politiche del regime di Kabul.
Per la notevole diaspora afghana, così come per gli attori della società civile nel paese, la questione di come impegnarsi e a quale rischio è esistenziale. La contestazione in atto sull’accesso delle ragazze all’istruzione da’ un esempio la posta in gioco.
Una solida comprensione delle radici sociali e politiche dei talebani, dei suoi fondamenti ideologici, della sua concezione dello Stato islamico ideale e delle relazioni con i vicini e la comunità internazionale è un prerequisito per identificare vie di dialogo e la leva e per valutare dove è possibile un cambiamento.
Nel mentre che gli sforzi diplomatici, in atto per convincere il regime talebano a cambiare le sue abitudini, vacillano, si ha notizia che sembrerebbe che la rete terroristica continui ad espandersi anche nelle sue alleanze e diminuisce qualsiasi possibilità per la stessa di essere controllata.
Secondo fonti locali, quanto deve preoccupare internamente e all’estero è il fatto che il regime talebano non ha intenzione di cessare la caccia alle ex forze di difesa e sicurezza nazionali afgane (ANDSF) o fermare il flusso di terroristi nel paese. In particolare, ci sono state diverse segnalazioni di talebani che puntavano pistole contro i coniugi di ex membri dell’ANDSF mentre telefonavano ai loro mariti per costringere il soldato a tornare in Afghanistan.
Ci sono notizie inquietanti su quanto che il regime è disposto a fare per trovare e punire gli ex membri dell’ANDSF. Ad esempio, viene riportato che elementi talebani terroristi fermino uomini per strada o entrino nelle case per catturare l’ex militari ANDSF e di solito li uccidano davanti alla loro famiglia. Inoltre, parrebbe che, di recente, il regime stia lavorando per convincere Iran e Pakistan a espellere il personale dell’ANDSF che avesse cercato rifugio oltre il confine.
La tecnica più cruenta pare sia quella che i talebani tengano sotto la minaccia delle armi cittadini inermi per costringerli a convincere i loro parenti fuori dal paese a tornare.
Gli ex membri dell’ANDSF e le loro famiglie sono anche in una profonda crisi finanziaria perché’ i veterani dell’ANDSF non sono in grado di lavorare facilmente e provvedere alle loro famiglie , tanto è vero che, nelle ultime settimane, sembrerebbe che ex personale addestrato dalla NATO e appartenente all’ANDSF venga ora reclutato per combattere in Ucraina da reclutatori russi.
A meno che la comunità internazionale non intervenga in qualche modo, c’è la reale possibilità che gli ex soldati possano cercare di trovare denaro per mantenere le loro famiglie in ogni modo possibile, compreso andare a combattere in territorio ucraino.
Parimenti, le citate fonti interne fanno sapere che mentre gli ex militari afgani vengono cacciati internamente e reclutati all’estero, il regime talebano sta creando le condizioni perché’ un numero ancora maggiore di terroristi possa stabilirsi in sicurezza in Afghanistan e secondo l’Independent Persian News, molti dei terroristi stranieri in afflusso in Afghanistan sono “cittadini di Cina Popolare, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan” e i gruppi terroristici stranieri sarebbero: il Movimento islamico del Turkestan orientale, Al Qaeda, il Movimento islamico dell’Uzbekistan e Jamaat Ansarullah.
I nuovi “ospiti” dei talebani non interagiscono con la popolazione locale per evitare che informazioni su di loro possano trapelare e si dice che alcuni abbiano iniziato a costruire strutture di addestramento.
È logico che dopo la neutralizzazione dell’emiro di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiriucciso da un attacco missilistico americano nel quartiere di Sherpur, nella capitale Kabul(dopo il ritorno dei talebani al potere e nella città in cui pensava di aver trovato rifugio sicuro) i terroristi in Afghanistan cerchino di dare meno indicazioni possibili sulla loro posizione.
Infine , secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, in Afghanistan il problema della tossicodipendenza riguarda il 10 per cento della popolazione, ossia 4 milioni di persone che consumano soprattutto metanfetamine, eroina e oppio.
Non dimentichiamo che l’85% dell’oppio prodotto nel mondo proviene dall’Afghanistan che – di fatto – è oggi un Narco-Stato. Dopo che il potere è stato assunto dai Talebani e sempre secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga, nel 2021 il raccolto di oppio in Afghanistan è stato di 6.800 tonnellate: l’8% in più rispetto al 2020. Tradotto in altri termini, vuol dire che gli oppiacei afgani forniscono otto consumatori su dieci in tutto il mondo, con una produzione di piu’ di trecento tonnellate di eroina pura trafficata dal Paese.
Il ritiro dei militari statunitensi e dei loro alleati occidentali ha lasciato questo caos assoluto. Bisogna sperare che quella decisione non faccia ulteriori irreparabili danni.